SCULTURA

In questa pagina parleremo delle opere scultoree che Michelangelo realizzò a Roma; egli si forma come scultore e la sua produzione, sia fiorentina sia romana, si caratterizza per una predominanza schiacciante di sculture a fronte di esigue opere pittoriche. L’artista fiorentino si definirà sempre un misero pittore quanto un grande scultore ed applica a questa sua definizione anche una teoria: Michelangelo, infatti, ritiene che la scultura abbia il grande vantaggio di permettere all’artista di vedere la propria opera all’interno del blocco di marmo; mentre nel dipingere si aggiunge materia e si compie un faticoso lavoro, nello scolpire si compie un lavoro tutto sommato riposante (e qui si potrebbe dibattere con Michelangelo quanto il suo lavoro fosse effettivamente riposante…!), asportando materia inutile e liberando la vera anima del blocco di marmo.

Aggrappiamoci alla teoria di Michelangelo e passiamo a conoscere insieme i grandiosi personaggi che l’artista ha liberato dal loro duro bozzolo…

STORIA DI UNA FIRMA

Tra il 1497 ed il 1499, Michelangelo sta svolgendo il suo primo soggiorno romano: infatti, dal 1496 al 1501, egli viene ospitato a Roma in casa dell’amico banchiere Jacopo Galli, che aiuta lo scultore ventenne a trovare i suoi primi incarichi. Il primo prestigioso incarico che Michelangelo riceve, proviene dal cardinale francese Jean de Bilhères, amasciatore di Carlo VIII presso Papa AlessandroVI. Infervorato da tale committenza, Michelangelo si reca a Carrara per scegliere personalmente il blocco di marmo che avrebbe ospitato la sua opera (viaggio che egli intraprenderà spesso, nel corso dei soggiorni a Roma, per verificare la bontà del marmo ed il suo approdo a Roma senza danni): egli ha già scelto il tema, a lui molto caro, della Pietà.

Con la Pietà vaticana si incontra per la prima volta il “troppo finito” michelangiolesco: l’artista è così compreso nel suo ruolo e nell’amore per l’opera che sta nascendo, da rifinirla più volte, lucidarla, lisciarne le superfici, pulirla da polvere e residui tanto da farla brillare.

Nel 1499, Michelangelo completò la propria opera e la statua venne destinata alla chiesa romana di Santa Petronilla; tuttavia, nel 1517, essa venne spostata nella sagrestia della Basilica di San Pietro. A quel punto, però, la statua aveva già subito un interessante cambiamento: non dettato dal tempo, né dalle intemperie… un cambiamento dettato dal suo creatore.

Si racconta che, nonostante i suggerimenti di Jacopo Galli, Michelangelo non avesse voluto firmare l’opera; la riteneva così bella che una firma ne avrebbe inesorabilmente deturpato l’aspetto ed inoltre non ne vedeva la necessità. Già a quel tempo, egli aveva acquisito una certa notorietà e credeva che il suo stile sarebbe stato riconosciuto. Quando la statua venne scoperta ed esposta al pubblico, Michelangelo andò ad assistere alla scena ed involontariamente ascoltò i commenti di due uomini. Costoro lodarono la bellezza della statua, la sua eleganza e si dissero certi che essa fosse opera dell’artista lombardo Cristoforo Solari; punto nel vivo, Michelangelo tornò nella basilica nottetempo e, irato contro questi due uomini e contro chi potesse considerarlo uno scultore qualunque, martellò con energia la propria firma sulla fascia dell’abito di Maria.

Questo episodio è piccolo e quasi insignificante al confronto della mole biografica che Vasari, Pietro Aretino e gli altri biografi di Michelangelo (non ultimo Irving Stone nel suo Il Tormento e l’Estasi) hanno raccolto: ma ci è utile per capire quanto energico e determinato fosse il carattere dell’artista fiorentino; doti che spesso si tramuteranno in difetti ma che contribuiscono a renderlo meno l’inavvicinabile personaggio e più l’uomo reale che è stato.

MOSE’: QUANDO L’AUTOCONTROLLO DIVENTA ARTE

Chi è Mosè? E soprattutto, chi è Mosè per Michelangelo?

Mosè è un personaggio biblico di estrema importanza, poiché è colui che inaugurò l’intenso legame tra il popolo eletto e Dio; un rapporto, questo va detto, molto burrascoso e difficile, almeno all’inizio, quando il popolo ebreo, preoccupato di non veder ridiscendere Mosè dal Monte Sinai, si fece fabbricare un Vitello d’Oro e prese ad adorarlo come una divinità. Quando Mosè ridiscese dal Monte Sinai con le Tavole della Legge, trovò il suo popolo in adorazione del Vitello d’Oro e si adirò profondamente: conquistato dalla rabbia, scagliò al suolo le Tavole della Legge, bruciò il Vitello d’Oro e costrinse il suo popolo a berne le ceneri, miscelate con l’acqua.

Senza addentrarsi nei misteri della Bibbia, si può ragionevolmente affermare che il personaggio di Mosè sia un grandioso concentrato di determinazione, furore soppresso e coraggio. Per Michelangelo, Mosè è anche la liberazione dai vincoli economici derivanti dalla “tragedia della sepoltura”, come egli stesso definì l’incarico per la Tomba di Giulio II. Dopo aver rinunciato a dedicarvisi (molto a malincuore) per prediligere la Cappella Sistina, Michelangelo venne obbligato dagli eredi di Papa Giulio II a dedicarsi solo alla tomba del loro defunto parente finché essa non fosse terminata: il primo progetto di Michelangelo prevedeva una vera foresta di quaranta statue, che avrebbero circondato la tomba vera e propria. Si trattava di un progetto estremamente ambizioso e, purtroppo per Michelangelo, anche estremamente costoso: gli eredi di Giulio II, infatti, costrinsero Michelangelo a ridurre il progetto veramente ai minimi termini. La versione definitiva risale al 1542, quando finalmente un anziano Michelangelo poté dedicarsi al suo progetto senza più modificarlo. Tuttavia, l’età ed il cattivo tenore di vita in cui Michelangelo era vissuto fino ad allora, lo costrinsero a chiedere aiuto ai suoi assistenti per le statue meno importanti: a quelle centrali, ovvero Rachele, Lia e Mosè, Michelangelo non rinunciò.

Mosè è dunque il sospiro di sollievo dopo una lunga ed estenuante battaglia, la gioia di chi finalmente può dire, nonostante molti incidenti e ferite di percorso, di aver vinto. Michelangelo riprende in tutto e per tutto l’episodio biblico del Vitello d’Oro, tranne che nella conclusione: il suo Mosè è un furioso gigante marmoreo, che nonostante la rabbia (palese sul suo viso) rimane seduto sul proprio trono ed indugia nel giocare con la propria barba. L’atteggiamento di Mosè è totalmente opposto alla sua fonte biblica, dove l’ira del patriarca investe tutto e tutti; è solo lo sguardo di Mosè a dirci quanto egli sia furioso, poiché per Michelangelo è l’autocontrollo a prevalere.

Se si ha l’occasione di visitare la chiesa romana di San Pietro in Vincoli, si potrà incontrare questo magnifico ed arrabbiato titano: e se si avesse l’accortezza di spostarsi verso destra rispetto al monumento recintato, si potrà persino venire scrutati dai suoi occhi immobili. Con buona approssimazione, si può affermare che questo esperimento venne provato anche dal celebre psicoanalista Sigmund Freud, i cui viaggi a Roma includevano sempre una visita alla creatura michelangiolesca. Nella Psicoanalisi dell’arte e della letteratura, Freud analizzò approfonditamente la scultura di Mosè, entrando talmente nei minimi dettagli da avanzare un’ipotesi: Michelangelo volle cambiare la storia di Mosè.

Secondo Freud, Michelangelo congelò scientemente il destino di Mosè, obbligandolo seduto sul trono. La figura che Michelangelo scelse di rappresentare è grandiosa non solo per il suo valore artistico, ma anche perché in essa viene racchiuso un messaggio importante di potenza mentale, per il quale la rabbia di Mosè viene convogliata nel suo sguardo e nello scatto della testa. Ma nessuna tragedia potrà compiersi, nessuno dovrà subire l’ira del furibondo patriarca; la scelta del suo creatore è quella di farlo reagire con forza alla rabbia, sfogandola nel moto della testa e nella pressione della mano destra nella barba folta e ricciuta.

Ancora una volta, si potrà ribadire che Michelangelo sia un genio. Storia ormai vecchia, in verità. Ma qui, in questa sede, potremo affermare che egli sia stato un genio perché coniugò fantasia, immaginazione, conoscenza e potenza mentale alle sue innate capacità.

5 commenti su “SCULTURA

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